lunedì 12 luglio 2010

Il pasto del vagabondo

"Siamo ciò che mangiamo!".
Quel barbone ripeteva questa insignificante frase ogni volta che gli passavo davanti, eppure gli davo sempre qualche spicciolo, con l'intento di comprarmi il suo silenzio, odiavo essere disturbato e fermato per la strada, raramente mi trattenevo a chiacchierare con gli amici, anche perché di amici non ne avevo e non ne volevo, neanche persone sdolcinate, mmmm ragazze dolci che ti chiamano amore, che ti danno carezze, decisamente no, non è mai stato di mio gradimento.
Continuai a scendere per la strada del borgo, poi entrai in una macelleria, decisi di comprare qualcosa da cucinare. Vidi un sogno, lì tra il vetro del bancone, ancora unta di rosso, una splendida testa integra di vacca, il sangue fresco le colava ancora dal collo a brandelli, tranciato (mi piace pensare) da colpi di macete.
Chiesi al macellaio: "Voglio quella!".
Il macellaio: "Le tolgo il cervello e gli occhi?!"
Matteo: "No! per l'amor di Dio non osi compiere un tale scempio, prendo tutto!".
Il macellaio prese una busta grande in plastica trasparente, vi avvolse la testa in carne viva del bovino e gliela consegnò in un sacchetto.
Il macellaio: "Per lei non prende nulla ?!"
Matteo: "No grazie!"
Il macellaio: "Arrivederla allora, oggi il suo cane farà festa, eh sì sì festa ah, beh"

Matteo prese la busta e si diresse a casa, era solito fermarsi al bar vicino la stazione per un aperitivo prima del pranzo, ma oggi fece una eccezione, il commento del barbone da qualche giorno lo irritava.

Matteo era un ricco imprenditore milanese, da qualche anno si occupava di case, gli bastava affittare le sue per vivere in completa agiatezza. Aveva però un difetto, non amava le persone, che con gli anni lo avevano cambiato tantissimo, ma nonostante il suo pessimo rapporto con la gente continuava a gestire lui stesso le sue proprietà.

Tornato a casa sbatté con forza la testa del mammifero contro il muro del corridoio, le ossa del cranio si ruppero e strapparono le buste, lasciando segnato sul muro bianco una grande chiazza di sangue di un rosso vivo, unito a delle maculazioni più scure dello stesso.
Matteo aveva un carattere particolare, gli è sempre piaciuto la vericidità delle cose, la naturalezza con cui fossero presenti in natura. Fece quel gesto perché gli piace molto il senso di crudo, di sporco, di sofferenza immaginaria che un simile gesto potesse creare.

Lasciò a terra la testa e accese il fuoco, mise dell'acqua in un pentolone grande e lascio a bollire, dopo un pò vi mise dentro la grande testa del bovino.

Non si curò mai di pulire casa, era uomo, sosteneva sempre che non spettasse a lui, ma al suo cane invisibile: "Rodeo", un bassotto di tre mesi completamente rasato e con le ali d'argento. La casa di Matteo era enorme, 5 stanze da letto, una sala da pranzo tinta di nero, un bagno senza tazza ma con una grande ciotola ed una cucina appena pitturata di marrone con un caminetto a parete e grandi fornelli in pietra.
Amava vantarsi con Rodeo della sua grande casa, dei quadri che dipingeva, della folta libreria che aveva e del bagno, così grande e igienico.
D'improvviso sentì il cane abbaiare, corse in cucina e vide l'acqua del pentolone bollire, prese da terra la busta con la testa del bovino ancora unta di sangue e ora sporca di polvere e la gettò nel calderone bollente, facendo schizzare l'acqua diventata ormai rossa sui suoi vestiti bianchi. Impazziva per queste cose, il macchiarsi i vestiti di sangue fresco lo considerava un evento meraviglioso.

Attese che la testa di vacca si cuocesse per bene, guardandosi un trapianto di cuore in diretta tv su un canale giapponese.
D'improvviso esclamò: "Che sbadato!"
Prese un coltello e provò a tagliare la pelle molle dell'animale.
Esclamò: "Bene, è pronta! Wow, ecco così, sì sì ecco qua..."
Mise la testa ancora gocciolante di acqua su un tagliere, nel frattempo il sangue si era raggrumato e sbiancato a tal punto da confondersi con la carne bianca e ammollata della vacca, gli occhi si erano ingialliti, e opacizzati, il tutto avrebbe fatto vomitare una capra.
Andò nello sgabuzzino e prese una accetta che usava spesso per spaccare i tronchetti per il camino e iniziò a preparare il pranzo.
In verità il cranio era già sfracassato per il forte colpo dato contro il muro della sua casa, con la accetta diede solo qualche colpo che gli permetté di poter accedere alla parte più buona del pasto.
Dopo due colpi ben assestati fece leva con un pezzo di metallo arrugginito usando come appoggio il naso della vacca, infilò la mano ed estrasse il cervello della bestia e gli occhi ancora caldi. Aggiunse un pomodorino pachino per assaporare il tutto ed una lieve, quasi impercettibile sfoglia di cipolla.
Iniziò prendendo un occhio, un pò molliccio, lo mise in bocca e se lo passò tra i denti per sentirne il sapore, poi lo pose tra i molari e premè forte. L'occhio si schiacciò e si ruppe, facendo fuoriuscire un liquido viscido e gelatinoso, dandogli un sapore tutto nuovo.
Esclamò: "Fantastico!"
L'occhio gli diede un sapore di fogna, impastandogli tutta la bocca e depositando il giallo dell'interno sui suoi denti, scartò il pomodorino e prese il cervello.
Il cervello del bovino era ancora molliccio, caldo e tra le fessure vi era il sangue nero coagulato, in bocca aveva un sapore di aspro, untuoso, impastato.
Mangiò tutto con gusto, sorseggiando di tanto in tanto il giallo della sua urina, che conferiva al pasto un sapore originale.

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